Tra egoismi, superbia e disinteresse, il Napoli perde anche l’orgoglio

Napoli orgoglio

Il Napoli perde anche la sfida di Empoli, e con essa l’orgoglio. Non resta nulla per cui lottare, ad eccezione di un amore a senso unico.

Tra egoismi, superbia e disinteresse, il Napoli perde anche l’orgoglio

Prima della gara di sabato, l’Empoli era a quota 28, impelagato nella lotta salvezza, punto a punto con un manipolo di club. Il dato sulle parate effettuate recitava (e recita tuttora) Empoli secondo nella graduatoria di A, con più di 115 interventi del portiere. Le reti subite erano (e sono) 48. Ebbene, il Napoli campione d’Italia, alla ricerca di orgoglio e riscatto, con un reparto offensivo del valore di più di 200 milioni di euro, ha concluso la gara del Castellani con un solo tiro in porta. Nove conclusioni totali, zero gol, come i punti.

Non vi riproporremo la solita figura retorica dell’ultima, ennesima, figuraccia come la fotografia di una stagione. Ormai è un album. È solo l’evidenza dei numeri. La disarmante e incontestabile veridicità di un numero.

Zero gol, zero punti, un tiro nello specchio. Dall’arrivo di Calzona, a febbraio, il Napoli ha vinto soltanto tre volte. Tre vittorie in undici partite, in due mesi di campionato e Champions. Tra le prime dieci, la corazzata Potëmkin (tra il serio e il faceto) è la squadra che ha ottenuto meno vittorie, 13. Peggio soltanto il Torino, a quota 10, che però conta meno sconfitte.

Adesso, vedete, se ne potrebbero dire tante. In effetti, se ne sono dette anche troppe. C’è qualche allegro buontempone che sussurra alle vergini orecchie di chi è orfano di perspicacia che “questa stagione è una responsabilità in primis di Spalletti, che ha abbandonato la nave”. Qualche altro temerario si convince sia un problema di appagamento. I più si dividono tra le responsabilità di una monarchia assoluta (e disastrata come solo la Russia Zarista prima del 1917) e quelle di un gruppo di calciatori in preda all’egoistica disaffezione che affligge chi alla maglia non è più interessato a dar nulla.

La verità è che i numeri ci raccontano queste verità (meno una, naturalmente), e con esse una sola. Il Napoli ha perso anche amor proprio, alienato persino dall’orgoglio.

Tra egoismi, superbia e disinteresse, il Napoli perde anche l’orgoglio

Il Napoli sembra una di quelle cittadine un tempo ridenti. Quei borghi che avevano visto il loro splendore in tempi lontani, ora distrutti dal tempo e dall’incuria. Un vecchio capolavoro di ingegno e bellezza, distrutto dal colpevole abbandono di chi ne ha vissuto le bellezze. Un agglomerato di case e viuzze in rovina, con il solo fascino del ricordo. Un paesaggio degno di un romanzo di Garcia Marquez, anche se non sono passati cent’anni, e nemmeno in solitudine.

Il Napoli si è autodistrutto in poco meno di dodici mesi. La struttura di magnificenza è implosa in una marea nera di egoismi, superbia e disinteresse. Ad un passo dall’apogeo del grande club, il Napoli si sgretola. Chi avrebbe dovuto guidarlo dimostra una mentalità limitata alla gestione della piccola azienda. Il grande traguardo deve presupporre una mente che si estenda oltre i confini dell’ipotetico e del facile. Chi era chiamato alla transizione, tuttavia, ha preferito perdurare in un modello di gestione familiare, in cui il ‘capo’ osserva e controlla tutto, e foglia non si muove senza il suo consenso. Fonte di verità e infallibilità, il capo si assume l’onere di ogni scelta, anche nel disperato tentativo di cancellare il ricordo di chi gli aveva precluso le porte delle segrete stanze in un lontano fine agosto 2022.

Da qui, il seme della disgrazia, e il passaggio di testimone a chi ha contribuito a rendere gli ultimi dieci mesi un fardello. Chi era chiamato a rappresentare il frutto dei propri sforzi, ha preferito assecondare i propri istinti. Quelli meno produttivi, si intende. Un lento adagiarsi sulla convinzione che le responsabilità altrui potessero distogliere le attenzioni sulle proprie. Incrociare le braccia, immaginate, anche quando tutti i problemi non si ripercuotono su di essi. È così che si comincia a prestare attenzione agli ingaggi, ai rinnovi dell’uno o dell’altro, ai giornali e alle chiamate dei procuratori. Il tutto, mentre la nave affonda, e con essa anche noi.

Una guerra fredda, ibrida. Nessuno muove un dito. Chi aveva accentrato, probabilmente, continuerà ad accentrare, lasciandosi anche sfuggire l’unica occasione per poter tornare ad ambire all’apogeo. La scelta del prossimo tecnico è un bivio sul futuro, immediato e prossimo, del club. Ciononostante, l’alternativa di successo esigerebbe un cambio radicale da parte di chi, giunto a questo punto, non crediamo sia propenso a metamorfosi tardive. Chi ha adempiuto agli obblighi soltanto in quanto tali, continuerà sino al termine della stagione. Perché il campo è divenuto, da mesi, solo una formalità. E poco importa se ne va della propria immagine. Il telefono di chi assiste i propri interessi continuerà a squillare.

In questo marasma di egoismi, superbia e disinteresse, ci siamo noi. Non rimane che Napoli per il suo Napoli, aggrappandosi all’orgoglio di amare questi colori anche quando non è una priorità di nessuno.

Gennaro Albolino

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