Il Napoli saluta la Champions League a Barcellona, e chiude ogni contesa in una stagione che, ormai, ha poco altro da offrire ai partenopei.
Napoli, a Barcellona si chiude anche il capitolo Champions
Finisce un altro capitolo, quello europeo. Nella stagione dei capitoli finiti e mai cominciati. Il Napoli non riesce in quella che sarebbe stata un’impresa Champions titanica in casa del Barcellona. Nonostante qualcuno volesse far passare i blaugrana come l’anello debole delle spagnole dell’Europa che conta, il Barca si conferma squadra di prestigio e valore. Per questo, e per mille altri motivi, quello del Montjuïc sarebbe stato un miracolo. Eliminare il Barcellona, club dalla storicità lontana, nella sua (nuova) casa, e relegarlo al quinto anno di astinenza dai quarti di finale: un epilogo anche oltre l’epicità di un lungometraggio hollywoodiano.
Non tanto per la differenza di valori – che non ha disdegnato di manifestarsi e di cui parleremo – quanto, piuttosto, per i limiti di una squadra che si accinge al grigiore di un’annata senza scopi.
Napoli, a Barcellona si chiude anche il capitolo Champions
Il Napoli non è mai riuscito, sin qui, ad inanellare tre vittorie consecutive. Poco male, se non fosse che quella attuale non è la squadra neopromossa di Edy Reja, ai suoi ‘primi’ passi nella massima serie. Quello che non riesce ad inanellare tre vittorie consecutive è il Napoli campione d’Italia in carica, fautore di record e consensi soltanto pochi mesi or sono. È con questo presupposto che bisogna(va) approcciare alla sfida del Companys.
Cosa ci si aspettava dagli azzurri? Cosa ci si aspettava da una squadra che soltanto pochi giorni fa non è riuscita a strappare più di un punto, in casa, contro una squadra che, ormai, ha poco da chiedere a questo campionato? Che cosa ci si aspettava da una difesa che fa acqua da tutte le parti e da un centrocampo mai in totale sinergia? Anzitutto, cosa ci si aspettava a marzo, dopo sei mesi di poco o niente?
Più che altro, c’è da chiedersi quali aspettative avremmo dovuto nutrire sin dall’inizio. La verità è che non c’era nulla da aspettarsi già dai mesi più caldi. Quando l’euforia e l’ottimismo inorgogliscono ogni tifoso, alla vigilia di una stagione che sa sempre essere foriera di speranze, la razionalità pungolava il pessimismo dei napoletani. Tra scelte scellerate e, specialmente, non scelte, si ponevano le basi dell’oggi.
Con questo presupposto, potrebbero sorgente nuove domande. Ad esempio, ci si potrebbe chiedere cosa ci sarebbe da pretendere da chi era giunto per ricoprire il ruolo di quarto difensore, ma oggi si ritrova a dover guidare un intero reparto. Ma sul tema abbiamo dato. Soprattutto – e purtroppo – non mancheranno occasioni per ripetersi.
Sta di fatto che il Napoli (non) costruito, maldestramente assemblato in un’accozzaglia caotica versione 2024, non poteva lasciare sperare in nulla di diverso. Le fragilità difensive, il caos offensivo e le incognite di tanti, troppi, calciatori non avrebbero certo portato molto lontano. Sono i mille motivi del perché fosse inevitabile che il Barcellona – la squadra che nei 180 minuti ha meritato maggiormente – risolvesse la pratica qualificazione tra le mura amiche.
La forza dei singoli, oltre che di una tradizione di gioco. I primi venti minuti hanno indirizzato la gara, e hanno fatto tutta la differenza del mondo tra una squadra scesa in campo per divorare l’obiettivo, ed un’altra scesa col timore reverenziale dell’ennesimo traguardo sfumato. Venti minuti in cui quella difesa che fa acqua da tutte le parti, e da cui non ci si poteva aspettare altro, ha confermato le proprie capacità idrofobiche. Infilata come un coltello nel burro, la retroguardia partenopea ha concesso il più facile dei gol, a Fermìn ma soprattutto a Cancelo.
La reazione arriva quando si ha coscienza di non aver nulla da perdere. Forse, arriva anche per un inaspettato moto d’orgoglio, alle soglie con la débacle. Si potrebbero aggiungere tante varianti. Il rigore (solare) non concesso ad Osimhen e la correlazione tra gli arbitraggi europei e gli sfoghi disordinati di un presidente. Quel colpo di testa di Lindstrom che, forse, è una sliding door del match, e la migliore metafora della stagione del danese, desaparecido tra i desperados (o gli scontenti, come direbbe qualcuno).
La verità è che il Napoli esce sconfitto dall’ottavo di Champions contro il Barcellona perché, nell’arco di otto mesi, ha saputo costruire soltanto le basi dell’insuccesso. Il tre a uno del Companys è la naturale prosecuzione di quanto cominciato lo scorso anno. Gli azzurri sono stati, sono e saranno ancora schiavi dei propri limiti, che quest’anno paiono essere invalicabili.
Non mancherà il rammarico. In quei lampi di squadra organizzata e proiettata ai fasti spallettiani, si è visto un Barcellona in difficoltà. Ci chiederemo a lungo cosa sarebbe stato di questo ottavo con un presupposto, tecnico e tattico, differente. Ma con i ‘se’ e con i ‘ma’ non si v amooto lontano.
Quel che è certo è che anche la Champions del Napoli, nella notte di Barcellona, è sfumata. Il Napoli chiude un altro capitolo, ma non saprei dirvi cos’altro cominciare a leggere. Perché non si capisce più a cosa debba aspirare questa squadra, e come debba finire questa stagione.
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Gennaro Albolino