“Alle spalle dobbiamo avere solo una chitarra e i ricordi”, Luìs Sepulveda scriveva così in uno dei suoi libri.
Napoli, un amore senza fine e uno scudetto da mettere alle spalle
E’ il minuto 61′ di Napoli-Inter di un inizio Dicembre freddo ed umido in quel di Fuorigrotta. Il calore umano e di un caffè borghetti cercano di fare contrasto ad un gelo che entra fin dentro le ossa. Intanto, i ragazzi che tanto hanno fatto sognare grandi e piccoli fino a pochi mesi fa, sono sotto di un gol. Nelle intenzioni sembrano voler provare a rimettere in gioco la partita e il campionato.
La realtà, tuttavia, è troppo spesso crudele, e per chi è cresciuto col “mito azzurro”, sa che il destino è spesso beffardo con questa gente e questa squadra.
Così, Lautaro imbuca Barella, dopo l’ennesimo affondo da sinistra e dopo un altro tre contro due in area di rigore, vissuto come un mantra nell’arco dei novanta minuti di partita. Questo, uno dei problemi messi in evidenza, oltre che una squadra fisicamente scarica e vittima anche mentalmente della gestione scelerata di Rudi Garcia. Ad ogni modo, il doppio vantaggio dell’Inter, spegne quasi definitivamente le ambizioni di una piazza che dopo lo scorso 4 Maggio, avrebbe avuto tutto il diritto di sognare. Le cose sono andate diversamente anche in seguito alla perdita di autori importanti della cavalcata vincente, non rimpiazzati adeguatamente. Ma questa è un’altra storia, perché a contare è la realtà in cui è incappato il Napoli neocampione.
Dunque è al momento del gol del 23 nerazzurro, che sembra quasi che le ali del Napoli vengano tarpate definitivamente. Appare così lontana quella sera di primavera… ed invece sono passati appena 7 mesi. Gli azzurri vengono lasciati lentamente soli, mentre i lati delle curve, la tribuna e distinti si svuotano. Il secondo tempo scorre fino al fischio finale, nel mezzo un gol che mette altro amaro in bocca. Ingenerosi alcuni fischi per calciatori idolatrati fino a qualche mese fa.
Napoli, un amore senza fine e uno scudetto da mettere alle spalle
Secondo lo scrittore statunitense Richard Bach, le vere storie d’amore non hanno mai una fine.
Ed è per questo che Napoli-Inter è una di quelle partite in cui tocca solo riconoscere merito agli avversari, muovere una piccola critica all’arbitro Massa e, non per ultimo, una forte autocritica a se stessi. Ma è anche una serata in cui sono rimasti solo i soliti noti, spesso e volentieri bistrattati da media e pubblico comune. La sconfitta contro i nerazzurri è una di quelle che fa rabbia e che pone interrogativi, ma anche una di quelle che ti riconcilia con i sentimenti e l’amore verso la maglia. E’ una di quelle serate in cui lo stadio risulta difficile da abbandonare per chi sente i colori partenopei. La Curva B è uscita addirittura alle 23.25 dagli spalti, dopo esser rimasta ad inneggiare gli azzurri abbondantemente dopo il fischio finale.
E così mentre il direttore di gara fischia la fine della partita, rimbomba un canto libero e orgoglioso, quasi all’unisono, per ricordare che quella toppa sul petto racconta una storia di calcio, di tifo e di sentimenti. Di una strada lunga 33 anni, figlia di un sentimento e mai serva di un risultato; di un amore tramandato da quasi un secolo di padre in figlio.
Se è vero che: “Un popolo in riva al mare ha il diritto di sognare…”, come recitava la Curva A, che tutti i tifosi mettano consapevoli alle spalle il ricordo dello scudetto e tornino a supportare indipendentemente dal risultato, in attesa che arrivino nuove sfide da affrontare e nuove storie da raccontare. Del resto: “Mal che vada siamo insieme”, è più di una semplice frase.
Scritto da: Marco Chiavazzo
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Marco Chiavazzo