Napoli: Madrid una tappa del percorso, tra identità e incompiutezza

Napoli Madrid

La gara di Madrid è soltanto una tappa del percorso del Napoli verso l’apice della propria dimensione. Un viaggio lungo, che coinvolge tutti.

Napoli: Madrid una tappa del percorso, tra identità e incompiutezza

Un Napoli a metà al Bernabeu, tra aspirazioni di compiutezza e maturità ancora in cantiere. La sfida di Madrid è il classico match delle grandi occasioni, in cui i partenopei provano a vestire l’abito da sera ma senza la disinvoltura che puntualmente contraddistingue l’avversario di tradizione. Già, la tradizione. Perché è quella che, ad oggi, manca agli uomini di Mazzarri. Con la tradizione non si nasce, e il Napoli è in un percorso – lungo ormai anni – in cui società, critica e tifosi provano a costruirsi un passato degno delle aspirazioni. Una strada lunga diciannove anni, o forse meno. Proprio con Walter cominciavo a porsi i primi mattoni di una dimensione nuova. A suggellare l’ascesa verso le grandi ci hanno pensato gran parte degli azzurri scesi in campo ieri, alzando l’atteso tricolore in condivisa soddisfazione con Spalletti. Il Bernabeu è una tappa di questo percorso. Un nuovo snodo verso la maturazione.

Questa tappa il Napoli l’ha vissuta esprimendo appieno sé stesso. Il modo migliore per rivendicare e, soprattutto, ritrovare la propria identità. La squadra ha provato ad alternare copertura e propositività. Nonostante il proverbiale miedo escenico del Bernabeu, il Napoli di Madrid non ha disdegnato di imporre i propri ritmi. Per larghi tratti della gara sono stati gli azzurri a gestire tempi e pallone.

Napoli: Madrid una tappa del percorso, tra identità e incompiutezza

Ad essere determinante è stato – anche – quel che separa gli azzurri dal Madrid. Qualità assoluta ed esperienza. Tre reti delle quattro siglare dei Merengues sono un manifesto al fútbol. La ruleta di Brahim Diaz e la palla inchiodata all’incrocio da Rodrygo, il lancio di Alaba col compasso, l’esterno di quel numero cinque che volge menti e cuore ad inizio secolo, quando un altro cinque incantava sui prati d’Europa. Mentre il Napoli cedeva all’insufficienza atletica, il Real dimostrava la più emblematica manifestazione di maturità.

La gestione gara come qualità intrinseca di certe squadre, non legata ai calciatori quanto alla storia. Tra assenze e cambi, il Real ha saputo imprimere il passo decisivo a fine partita, sapendosi adattare camaleonticamente alle esigenze dei primi settantacinque. Nell’ultimo quarto d’ora, l’accelerazione dei Blancos è stata letale. Quasi – ma non tanto – come se gli uomini di Ancelotti avessero deciso di vincerla soltanto in quel momento.

Dunque, il Napoli paga questo, ma non solo. Oltre la dimensione dell’avversario c’è la propria. Perché a determinare vi è stata anche la compartecipazione di alcuni azzurri, tra inesperienza ed eterna incompiutezza.

L’inesperienza di Natan, ancora acerbo in marcatura. Il brasiliano si lascia sfuggire l’unico vero pericolo di avrebbe dovuto curarsi in fase di inserimento. L’inglese gli passa dietro, sgusciando veloce e furtivo per la rete del sorpasso. L’incompiutezza di altri. Oltre la novità (forse solo per alcuni) della mediocrità di Rrhamani in questa stagione, c’è l’evidenza che grida ancora vendetta tra i pali.

Quello del portiere è un ruolo crudele. Un attimo prima gli allori del salvatore, quello dopo la gravezza del colpevole. Tuttavia, su Meret andrebbero fatte delle riflessioni. Fino al momento del terzo gol, il portiere friulano era stato autore di una prova convincente. Il problema, però, risiede proprio nel costante timore che aleggia su di esso. La paura che Alex possa, prima o poi, ribaltare ogni giudizio. Paura che, purtroppo, si concretizza. Il numero uno azzurro non trasmette mai serenità, fiducia. Problematica che può essere stressante per un tifoso, comodamente seduto sul proprio divano. Ancor peggio se sono i compagni di reparto ad avvertire una perenne precarietà.

Riflessioni che si pongono da tempo tra i tifosi, ma che dovrebbero cominciare a coinvolgere anche quanti sono chiamati a decidere. Il Napoli è una fucina di talenti, ma anche di incognite che si trascina, ormai, da anni.

Per quel vestire l’abito da sera delle grandi occasioni, e sedersi al tavolo delle squadre di tradizione, serve poter avere contezza anche di ciò. Il Napoli non opera male sul mercato, anzi. È, forse, la migliore italiana nel saper intuire il talento straordinario nel calcio europeo. Tuttavia, c’è sempre un senso di limitatezza. La ciliegina sulla torta, la completezza nella programmazione. Che Meret non fosse il fenomeno che prometteva agli albori della carriera era chiaro ormai da due anni. Così come era evidente, a tutti, che non si potessero affidare le sorti di un reparto arretrato a Juan Jesus, nemmeno da quarto.

La completezza di programmazione, la compiutezza, esigono di abbandonare la strada dell’azzardo e di curare il minimo particolare anche sul terreno di gioco. Per un Napoli davvero grande, l’ultimo passo devono poterlo fare tutti, anche dietro la scrivania. Madrid è un passo in avanti, una base di partenza. A patto che non sia l’ennesima.

Gennaro Albolino

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