L’esonero di Rudi Garcia è ufficiale ed il presidente De Laurentiis, al suo posto, ha preferito il ritorno di Walter Mazzarri che, dal punto di vista contrattuale, non ha avuto di certo le pretese avanzate da Tudor. Una scelta dettata anche dal fatto di poter scegliere, senza nessun tipo di vincolo contrattuale con un altro allenatore, la nuova guida tecnica per la prossima stagione.
In questo avvio di stagione la gestione, in particolar modo, di Jesper Lindstrom ma anche di altri componenti del Napoli ha lasciato un po’ riflettere. Il punto di non ritorno si è toccato inevitabilmente domenica scorsa, nella gara contro l’Empoli. Rudi Garcia, dopo aver scelto quasi sempre gli undici titolari, nella gara antecedente alla sosta per la Nazionali, decide di stravolgere assetto tattico ed interpreti. Quando poi inserisce gli uomini migliori è ormai già troppo tardi concettualmente per cambiare una situazione che va avanti da quando la stagione è iniziata, troppo tempo.
Nemmeno se Kvaratskhelia avesse segnato, si sarebbe potuto pensare di risolvere strada facendo. Un altro aspetto legato alla partita, definibile come “goccia che ha fatto traboccare il vaso”, è anche la scelta di passare al 4-2-3-1, schierando gli unici due attaccanti in rosa, e togliere il vero nove per l’assalto finale. In aggiunta Raspadori ha dimostrato di lasciare maggiormente il segno da attaccante: 4 goal quando schierato in avanti, zero sulle fasce e dietro la punta.
Ci sono partite o momenti all’interna della stessa, però, dove la presenza di un nove fisico dall’inizio può incidere di più. A Berlino Raspadori è andato in goal, sull’unico tiro in porta ed una grande giocata individuale di Kvaratskhelia. Nonostante la generosità nel fare sportellate con gli attaccanti fisici dell’Union, anche nella gara di ritorno la difficoltà si è palesata. E di certo, nel finale contro l’Empoli, non ci si poteva aspettare che la squadra avrebbe dovuto lanciare i palloni della disperazione a Raspadori.
Napoli, la visione distorta della realtà sulla gestione di Lindstrom
Tra i primi esempi, riscontrati da inizio stagione, ci sono sicuramente i minutaggi di Elmas e Mario Rui, poi convolti maggiormente nelle ultime apparizioni. La gestione più difficoltosa è stata quella di Jesper Lindstrom. Per una questione di coerenza, così come è stato fatto con Spalletti con Simeone, diamo per buona l’affermazione di Garcia sulla possibilità di poter dimostrare in poco tempo: “Lo spazio c’è l’ha avuto. Quando avrà spazio, anche se poco, dovrà dimostrare e questo è un discorso che vale per tutti”.
Ancora, per dare un ulteriore alibi, il tecnico francese avrebbe potuto anche dichiarare esplicitamente che, magari, nei fatti, non è stato sostituito Lozano nell’immediato, visto che Lindstrom nasce come trequartista ed ha giocato prevalentemente nei due dietro la punta a Francoforte e dunque il periodo di adattamento sarebbe dovuto essere più lungo. Ma dal momento che stesso l’allenatore parla di un calciatore duttile, definendolo esterno d’attacco, questo è un potenziale alibi che viene a decadere. Entrambe le tematiche sono riscontrabili con i fatti (numeri ed esempi pratici). Il danese, nella sua carriera, ha giocato in molteplici ruoli: 23 come esterno d’attacco, 11 come centrale di centrocampo, 6 a sinistra, 4 a destra, 3 da mediano, 9 da seconda punta ed 8 perfino da punta. Anche se il ruolo con maggiore confidenza resta quello da trequartista con 113 presenze.
In primis Lindstrom ha giocato come esterno ma non essendo il ruolo di maggiore competenze, la possibilità di volerci più tempo prima di calarsi in un nuovo contesto L’altro aspetto riguarda lo spazio che Rudi Garcia ritiene di aver dato, anche se si tratta di un minutaggio non proprio altissimo ed una gestione non del tutto logica per inserirlo.
Napoli, la visione distorta della realtà sulla gestione di Lindstrom
La grande differenza rispetto a Simeone è la provenienza da un campionato diverso e dunque anche una questione d’adattamento diversa. Sul minutaggio ci sarebbe molto su cui discutere. Lindstrom è stato impiegato poco e spesso in spezzoni di gare, in situazioni complicate e partite compromesse. In dieci partite di campionato dal suo arrivo ha collezionato tre panchine, una solo da titolare e 158′ divisi in questo modo: 13 con Salernitana e Verona, 14 con la Fiorentina, 15 con la Lazio, 18 con l’Empoli, 27 con l’Udinese e 58 col Lecce. In Champions, invece, 12′ soltanto da subentrato. L’acquisto di Lindstrom va di pari passo anche con una delle migliori stagioni di Politano da quando è arrivato al Napoli. E non si sta dicendo che avrebbe dovuto far accomodare l’ex Inter in panchina, bensì una gestione diverso del minutaggio avrebbe potuto beneficiare entrambi.
Un po’ come il discorso di Anguissa. Il camerunense le ha giocate quasi tutte (75% di partite giocate), senza quasi mai rifiatare fino ad infortunarsi con la gara contro la Fiorentina e dover inserire tutto d’un fiato Cajuste (17% di partite giocate), dove per risalire alla prima gara da titolare prima di Verona e Berlino, bisogna tornare indietro alla prima giornata di campionato. Nell’ultima contro l’Empoli anche Matteo Politano ha accusato un po’ di stanchezza ed in tal senso, non si chiedeva di fargli giocare un tempo a testa nelle giornate precedenti, ma anche un range di 60/30, 70/20 per rendere l’idea, avrebbe beneficiato entrambi. Da un lato avresti preservato il titolare (69% di minuti giocati), nonché l’uomo migliore di questo avvio di stagione, dall’altro favorito l’inserimento del danese (18% di minuti giocati). La mancata convocazione con la Danimarca non poteva non essere la conseguenza di questa gestione particolare.
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Davide D'Alessio