Il Napoli è ancora schiavo della sua incostanza, ad dopo un primo tempo all’insegna dell’orrore si contrappone l’orgoglio nella seconda metà.
Prima l’orrore, poi l’orgoglio: è un Napoli schiavo dell’incostanza
Esporsi in un giudizio definitivo sulla gara di ieri sarebbe impossibile. Non è il pareggio la discriminante reale, quanto soprattutto l’abisso tra primo e secondo tempo. Una voragine che neutralizza ogni tentativo di analisi che voglia assurgere a completezza. Non si può giudicare la prima metà senza tenere conto della seconda, e viceversa. Potrebbe essere più consono un giudizio distaccato, come se il Napoli avesse giocato due gare distinte. Perché, di fatto, il Napoli ne ha disputate due.
Il primo tempo è stato il festival dell’orrore. Aggiungere altro sarebbe superfluo. Non si salva nulla dei primi quarantacinque, se non la buona sorte e la scarsa incisività dei rossoneri che hanno permesso alla squadra di Garcia di andare al riposo sotto ‘soltanto’ di due reti. Un orrore perpetuo dal primo minuto – quando la coscia di Rrhamani nega il vantaggio di Giroud – all’ultimo -quando, invece, è Musah a sfiorare il terzo gol. Un orrore sotto tutti i punti di vista.
Tatticamente il Napoli ha sbagliato quel che era il compito principale. Evitare di prestarsi alla ripartenza, con marcature preventive e raddoppi sistematici su calciatori come Leao e Pulisic, sarebbe stato uno degli obiettivi primaria. Il Napoli, invece, è parso fragile proprio nella profondità. I duelli contro i rossoneri sono stati una perpetua sconfitta. L’esaltazione dell’individualità, da un lato, e della coralità dall’altro si è resa ancora più evidente dopo il secondo gol.
Da quel momento, oltre che tattico l’orrore è stato di tipo caratteriale. Azzurri in preda ad uno sconforto totalizzante. La paura di rivedere vecchi demoni (o diavoli), e di incorrere in una nuova imbarcata. La flessione dello spirito che si trasferisce alle gambe, per una squadra che non opponeva alcun tipo di resistenza. Nella mezz’ora che ha portato alla pausa il Milan era padrone del campo e degli azzurri. Emblematica l’immagine – frequente – dei giocatori rossoneri con la suola salda sul pallone, in attesa che fosse l’avversario, sotto di due reti, a fornire segni di vita.
Prima l’orrore, poi l’orgoglio: è un Napoli schiavo dell’incostanza
La reazione, il carattere e, soprattutto, l’orgoglio. Nel secondo tempo vengono fuori gli uomini, e le loro prerogative. Quelle dei campioni che hanno l’ardore di esporre il tricolore sul petto. Il Napoli viene fuori nella ripresa ed a fare la differenza è l’approccio di una squadra che non conosce più ‘morbidezza’. La determinazione, la cattiveria e l’agonismo, il Napoli non perde più il contrasto. Le seconde palle sono tutte degli azzurri.
Gli azzurri spingono, spingono forte. L’arrendevolezza al destino non è ipotesi percorribile. Il pareggio si realizza perché sono i calciatori a crederci. Credere che il tunnel dello sconforto non conosca fine, guidati dall’orgoglio di chi sa di valere molto di più.
Anche le scelte del tecnico hanno giocato un ruolo cruciale. Il passaggio dal 4-3-3 al 4-2-3-1 ha consentito alla squadra di godere di maggiore propensione offensiva. Elmas ha garantito maggiore freschezza e rapidità. Fondamentale la scelta di tenere in campo Raspadori, vero fattore di continuità qualitativa delle ultime gare, al pari di Kvaratskhelia.
Gara a due facce, dunque, come il Napoli di questa stagione. Il doppio volto degli azzurri accompagna i primi mesi di campionato, senza accennare ad abbandonare l’immediato futuro. Il Napoli alterna, sistematicamente, gare buone ad altre (molto) meno buone. L’effetto è quello di giudicare ogni prestazione in quanto estemporanea, non avendo mai contezza di una dimensione definita. Un work in progresso costante in cui il Napoli non convince mai appieno. La domanda, anche questa settimana, è la medesima: quanto si può andare lontano con tale incostanza?
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Gennaro Albolino