ADL e la sua grande scommessa, Rudi Garcia. Il presente non offre ottimismo, e le lancette obbligano i protagonisti a fuggire dall’indugio.
ADL e l’all in su Rudi Garcia, una linea rossa da non oltrepassare
Due a due. A Genova, dopo la delusione (grande) contro la Lazio, e le successive ambizioni di riscatto, non si raccolgono speranze ma inquietudini. Sotto di due gol fino ad un quarto d’ora dalla fine, il Napoli la riprende grazie alla forza, allo spessore dei propri singoli. Due lampi che illuminano il nero pece del Ferraris. Il resto è, per l’appunto, buio totale. Il mantra è che sia troppo presto per esprimere giudizi. La cruda e pungente verità è che, nelle settimane che trascorrono, la squadra pare involvere. Un palazzo reale, dalle fondamenta poco salde. Un architetto, dalle idee poco chiare.
All’annuncio di Rudi Garcia non c’era stata l’esaltazione euforistica che si sperava. A dire il vero, tutta l’estate l’euforia del grande botto rimarrà un’emozione senza sfogo. Su Rudi, però, la reazione unanime (o quasi) fu quella dell’attesa. Sarebbe stato il campo il giudice finale e, come sempre, infallibile. Le animosità di giugno e luglio 2022 avevano lasciato l’eredità importante della pazienza. Il campo, però, si sta esprimendo con cruenta chiarezza.
Le prime quattro hanno il comun denominatore della scarsa fluidità di manovra, e di un dominio del campo solo a tratti. Soprattutto, la squadra pare spaccata in due blocchi distanti. Difesa e centrocampo separati da metri di campo vuoto, di idee e di gioco. Mentre Osimhen viene abbandonato alla solitudine del lottatore angosciato, infatti, i possessori palla si guardano intorno smarriti, alla ricerca di una soluzione di gioco.
Con il cambio di allenatore la variazione tattica era preventivabile, e doverosa. Ci si attendeva un percorso a metà strada tra gli automatismi dello scorso anno e la nuova mano di Rudi. La sensazione, tuttavia, è quella di una rivoluzione drastica, senza sortire risultato alcuno. Il Napoli non convince, né tifosi né critica. Quando ne viene chiesto conto, della disarmonia e dei risultati, Garcia segue un percorso chiaro. Un filo rosso che conduce ai calciatori, una linea rossa da non oltrepassare.
Responsabilizzare i giocatori è un conto, scaricare ogni colpa ne è un altro. Gli azzurri – pressoché gli stessi – non hanno mai mancato di determinazione e fame nella gloriosa, passata, stagione. Le responsabilità vanno divise, per oneri ed onori di una guida tecnica. La coscienza dovrebbe imporre l’analisi del proprio operato, e misurare l’ego che presuppone infallibilità. Napoli non è una base di (si)lancio, è la squadra campione. La smania di dimostrare al mondo la propria compiutezza è un’arma a doppio taglio, in cui a farsi male sono sempre gli stessi. Spalletti, oltre al calcio straordinario, ha lasciato la memoria dell’importanza del rapporto. La fiducia si acquisisce con fatti e parole, e l’incontro con i propri uomini è un giusto mezzo. Ad oggi non vi è nulla che lasci intendere un riesame dei propri errori. C’è sempre una prima volta, soprattutto per chi ha molto da dimostrare.
ADL e l’all in su Rudi Garcia, una linea rossa da non oltrepassare

L’attesa e la pazienza, si è detto. Espressioni passive di un credito di riconoscenza verso la dirigenza. Vincere un tricolore pareva più un dono immeritato che un traguardo inseguito. Per questo, e dopo le sorprese della passata stagione, pareva giusto concedere credito alla società, quand’anche le scelte rasentassero l’azzardo. Il problema è che la dirigenza c’entra poco. Tutta l’estate ha visto scelte che camminavano su di un filo sottile e leggero, oscillando tra l’attenzione al guadagno ed il rischio non calcolato. Nessun intermediario, pochi consiglieri (con facoltà di incidere latente). L’uomo solo al comando ha deciso quel che era meglio per il club, e per sé. Il caldo afoso ha finito per accendere una convinzione di sé già rovente, senza che però vi fosse contraddittorio a spegnere il fuoco.
È così che, all ‘addio dei perni di un capolavoro, il turnover del talento diviene rattoppamento. All’insegna, sempre, della piena stima conferita(si). Una rivoluzione copernicana, di cui si conoscono le basi teoriche, ma meno le proiezioni fattuali. Oggi, l’all in del presidente mostra i primi segni di sconfitta. Una mano scellerata, senza che le carte lasciassero suggerire oltre la speranza. Scricchiola tutto ciò che circonda il tecnico, dalla condizione alla proposta tattica, passando per il rapporto con i calciatori. Quest’ultimo è l’aspetto più importante. La chiave che apre la porta non solo al successo, ma ad ogni orizzonte percorribile. La squadra non digerisce il tecnico. Il tecnico non fa molto (o nulla) per lasciare intendere quale possa essere il motivo d’ottimismo. I presupposti sono correlati a presagi vicini al fiasco.
Tuttavia, attenderemo ancora, aggrappandoci al credito ed alla speranza. Se, però, quelle carte dovessero dire ‘sconfitta’, allora non ci sarà vergogna nell’ammetterlo. Riconoscere l’errore, anche quando frutto del proprio ego. Ricomporre i pezzi, mettendo da parte la convinzione di sé. Anche questa, se vogliamo, è una linea rossa. Quella che separa il raziocinio dalla cieca insistenza. Oltre, c’è la mediocrità.
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Gennaro Albolino