La possibilità di vedere i club sauditi in Champions League è oggetto di discussione. Quando oro nero, sport e politica si incontrano…
Club sauditi in Champions, il nuovo che avanza a suon di milioni
Evviva, ci siamo arrivati. Le istituzioni saudite sono a lavoro, in trattative che immaginiamo estenuanti, per potersi accaparrare un posto nella prestigiosa Champions League (europea). L’idea sarebbe quella di uno o più slot da destinare ai club sauditi tra i più importanti. Ne discutono con le istituzioni, questa volta calcistiche ma non meno politiche, della UEFA. Non è certo giunto il momento di facili drammi, né di giungere a frettolose conclusioni. Ma l’esistenza di un dialogo è, già di per sé, la notizia.
Immaginate, in un futuro più o meno lontano – e non troppo distopico – la Steaua Bucarest, già detentore di una Coppa Campioni, dover ritrovarsi costretta a cedere il passo all’Al Hilal. O, ancor meglio, un nuovo format che veda la partecipazione di oltre 40 squadre. Un bel casino, in ogni caso. Certo, ci sarebbe il piccolo imprevisto della competitività. Molte squadre della Saudi League sono infatti riconducibili alla stessa proprietà. Ma siamo certi che alla UEFA sapranno superare anche questi spiacevoli ostacoli. È pur vero, però, che ognuno fa il possibile per accaparrarsi il proprio posto al sole. Se poi si può saltare anche la fila, ancora meglio…
Club sauditi in Champions, il nuovo che avanza a suon di milioni
Una nuova geografia del calcio. Una mappa tutta da ridisegnare, a fronte delle riscoperte esigenze di Weltpolitik del Golfo Persico. Se vi eravate abituati alla conduzione dei ‘classici’ club di tradizione, ed avete dovuto subire lo shock di estendere gli orizzonti anche verso City, Psg e Newcastle, preparatevi ad altro. La geografia di cui sopra potrebbe dilatare i suoi confini oltre il consueto ‘domestico’. Anche il calcio può assurgere a strumento di legittimazione politica, e non solo. Oltre lo sportswashing c’è di più. C’è la rincorsa ai primi gradini del podio delle potenze regionali e, forse, mondiali. Il calcio, si sa, garantisce invidiabile visibilità. A suon di miliardi, poi, non sarebbe difficile accaparrarsi l’esposizione tanto bramata.
È la prostrazione più totale al denaro. Le trattative di questi giorni non potrebbero intendersi altrimenti. Ogni principio di logicità perde drasticamente significato, dipingendo il calcio – in maniera ormai definitiva – come meccanismo puramente economico. Non più sport, mai più passione. Un grande spettacolo, certo, ma forse solo business. La polarizzazione del talento nella cerchia ristretta dei club, big soprattutto per disponibilità finanziaria, è una delle principali emanazioni della nuova mappa del calcio europeo e delle sue prerogative economiche. Una mappa che, dunque, potrebbe presto accingersi a divenire mondiale.
La Coppa del Mondo qatariota ne aveva costituito un primo passo tanto emblematico quanto significativo. Il problema non sussiste, chiaramente, nella globalizzazione di uno sport che, da sempre, è il più popolare. La problematicità risiede invece nei parametri che ne guidano l’evoluzione. In un calcio incline al denaro più che al virtuosismo c’è poco da star sereni. Non è la semplice storia – e consueta – del pesce grande che mangia il piccolo. È una questione di meriti e lavoro. Fattori che rischiano di perdere ogni utilità nelle nuove logiche della governance calcistica. Non basteranno più ingegno e programmazione.
Non ci sarà da compiacersi dell’appartenenza ad un calcio di tradizione, e del suo lustro. Finché i pozzi continueranno a produrre oro nero, ed il problema principale sarà la strategia di dominio globale, persino i confini geografici perderanno il proprio senso logico.
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