Daniele Pagani: “Moisés Caicedo potrebbe diventare uno dei box to box più completi al mondo”

Ai microfoni di IlSognoNelCuore è intervenuto in esclusiva Daniele Pagani, opinionista esperto di calcio sudamericano, che attualmente ricopre il ruolo di Social Media Manager per l’FC Lugano. Intervistato dal nostro Emanuele Cantisani, ha parlato di alcuni talenti del Sud America e non solo…

Daniele Pagani: “Marcelo Gallardo, è obbligato a provare un’avventura nel calcio europeo”

Lionel Scaloni, Marcelo Gallardo, Jorge Almirón. Sono numerosi gli allenatori argentini che alla guida dei rispettivi club – in Argentina – o della Nazionale, come nel caso del primo, hanno già dimostrato di poter fare molto bene. Secondo lei, quelli citati, sono dei tecnici pronti e formati per fare un’esperienza nel nostro continente? Eventualmente cosa potrebbe mancare loro per compiere il definitivo salto di qualità?

“Marcelo Gallardo, con tutto quello che ha ottenuto nei suoi anni al River Plate, è obbligato (ride, ndr) a provare un’avventura nel calcio europeo. In caso contrario, priverebbe tutti di noi di qualcosa che sulla carta, quantomeno, potrebbe rivelarsi estremamente intrigante. Al contrario, Scaloni rappresenta una casistica difficile da incasellare, sulla quale è complesso esprimere un giudizio. Allenare una squadra di club e allenare una Nazionale sono due dinamiche completamente diverse. È un tecnico giovanissimo. Appena quarantacinquenne. Si tratta di una dinamica che prima o poi, in futuro, si verificherà di certo. Almirón è già stato in Europa, all’Elche, per due parentesi, ma a prescindere dal precedente dubito che lo vedremo mai varcare la soglia del calcio europeo dalla porta principale”

Daniele Pagani: “Sono rimasto molto colpito da Juan Carlos Gauto dell’Huracán e a Valentín Barco del Boca Juniors”

Argentina, Brasile, Uruguay, Colombia e Cile sono da sempre tra le nazioni sudamericane con il maggior coefficiente di talento, con tanti giovani giocatori che approdano ogni anno in Europa. Mentre in altri paesi come Paraguay, Bolivia, Venezuela, Ecuador, Perù stanno emergendo – passo dopo passo – alcuni talenti interessanti. Ce n’è qualcuno, in particolare, che potrebbe approdare nel nostro continente, ma ancora semisconosciuto?

“Più che semisconosciuti, mi piace parlare di talenti grezzi. Di quelli che lasciano intravedere dei colpi e delle giocate dettati dall’incoscienza giovanile, ma che al tempo stesso ti suggeriscono di possedere un barlume di specialità. Certo, ci sono nomi che già sono arrivati alle nostre orecchie. Come Alejo Véliz e Marcos Leonardo, giusto per citarne un paio. Rivolgendomi ancora all’Argentina, per esempio, penso a Juan Carlos Gauto dell’Huracán e a Valentín Barco del Boca Juniors. Se devo spendermi su due nomi in particolare, tuttavia, posso dire di essere rimasto molto colpito da Fabricio Díaz, centrocampista classe 2003 di proprietà del Liverpool Montevideo che ha preso parte anche all’ultimo Mondiale Sub–20 con l’Uruguay, e dal cileno Damián Pizarro. È una punta del 2005, gioca nel Colo–Colo. È un calciatore tutto da plasmare, grezzo, per l’appunto, ma ha una serie di caratteristiche nel suo arsenale che mi intrigano molto”

Daniele Pagani: “Moisés Caicedo potrebbe diventar uno dei box to box più completi al mondo”

Il Brighton di Roberto De Zerbi vanta in rosa gli ecuadoriani Moisés Caicedo e Pervis Estupiñán oltre al paraguaiano Julio Enciso. Cosa ne pensa di loro? Il loro rendimento è legato solamente al calcio moderno e spettacolare dell’allenatore italiano, o è anche risultato delle loro qualità? Per quanto riguarda l’esterno è pronto per il definitivo salto di qualità in una big europea?

“In questo caso è necessario compiere un’opera di razionalizzazione del pensiero. Il calcio di De Zerbi è indubbiamente tra i più prelibati al mondo al momento, per la coniugazione di efficacia e stile. Si tratta di un calcio propositivo e qualitativo, ma anche disciplinato e tremendamente concreto. All’interno del sistema di gioco del tecnico italiano il coefficiente fantasioso di ogni singolo è invitato all’espressione e alla manifestazione, senza inibizioni e soppressioni. Ma sempre a patto che produca un risultato finale proficuo, vantaggioso. Non c’è niente di superfluo, da l’art pour l’art. Enciso e Caicedo li conosco molto bene. Li ho presentati io, in Italia. Il paraguaiano l’ho scoperto quasi per caso, quando segnò agli ottavi di finale di Copa Libertadores contro i boliviani del Wilstermann. Era il 26 novembre del 2020. Qualche ora più tardi, dunque la notte stessa, nutrendo un particolare interesse per gli aneddoti statistici legati al calcio sudamericano scoprì che, in virtù di quella marcatura, Enciso era diventato il quarto calciatore più giovane della storia a segnare in una partita della fase a eliminazione diretta della competizione (16 anni, 10 mesi e 25 giorni). L’escalation del ragazzo, da quel momento in avanti, è stata rapidissima: una successione costante e inarrestabile di record sbriciolati, stupore e meraviglia tecnica. Nell’ultima Copa América – quella del 2021, quella della prima grande mattonella ancestrale di Messi con la Selección – Julio era il più giovane convocato in assoluto del torneo. Poi, nella vittoria contro la Bolivia per 3–1 alla gara d’esordio della fase a gironi, è diventato anche il secondo giocatore più precoce (17 anni e 4 mesi) della storia del Paraguay a debuttare nella competizione, alle spalle del solo Gerardo Rivas. L’arrivo nel calcio europeo è stato una conseguenza naturale, per non dire scontata. Infatti, passando dal Libertad al Brighton per poco più di 11 milioni e mezzo si è convertito anche nel trasferimento più remunerativo della storia del calcio paraguaiano. Un primato che ha resistito per ventitré anni, che apparteneva a un certo Roque Santa Cruz, con il passaggio dall’Olimpia al Bayern per 5 milioni (1999, ndr). Per me Enciso resta un talento fuori dal comune, ad ogni modo. Ha ancora margini per crescere esponenzialmente, le giuste carte per una calata demiurgica. Non deve affrettare i tempi, può restare ancora al Brighton per una o due stagioni prima di compiere il salto. L’ambiente è sano e ambizioso, trasmette fiducia. Inoltre sono decisamente intrigato dall’idea di vederlo all’opera al fianco di altri due talenti continentali, come Facundo Buonanotte e João Pedro. Su Moisés Caicedo non resta molto da dire, ormai. Potenzialmente è uno dei box to box più completi al mondo. D’altronde, la taglia che il Brighton ha messo in bella vista sul suo cartellino non può essere il frutto della casualità. Estupiñán, dei tre menzionati, è il più anziano. Nella scorsa stagione ha trovato una discreta continuità di rendimento e si è messo in luce sfoderando diverse prestazioni convincenti. Probabilmente, rispetto a Enciso e Caicedo, ha giovato maggiormente della cura De Zerbi. Tuttavia, nell’esprimere un giudizio, non mi piace tergiversare. Preferisco piuttosto esprimere un’opinione schietta, soggettiva, intellettualmente onesta e magari sbagliata con il senno di poi. Allo stato attuale dell’arte avrei qualche riserva a spendere 20 milioni per il suo cartellino. Un altro anno al Brighton, per confermare quanto di buono si è visto nell’ultima annata, potrebbe giovargli non poco prima di un ipotetico salto di qualità”

Daniele Pagani: “Quando un talento come Julian Álvarez si manifesta al mondo il prezzo del cartellino tende a inflazionarsi”

Come mai secondo lei, in Italia, si scommette poco sui giovani sudamericani? Basti pensare, ad esempio, a un profilo del calibro di Julián Álvarez: fu molto vicino all’Inter, per poi approdare al Manchester City, o al poco minutaggio concesso a Lucas Paquetá ai tempi del Milan…

“Julián Álvarez e Lucas Paquetá sono due casi di studio estremamente differenti, si riconfigurano in due tipologie di campionario ben definite. Quando un talento come Julian Álvarez si manifesta al mondo, in maniera così debordante e inequivocabile, con la veemenza di una magnitudo improvvisa, il prezzo del cartellino tende a inflazionarsi e a riconfigurarsi al di sopra delle possibilità di qualsiasi club italiano. Più che timore dell’azzardo e del rischio di non veder fruttare un investimento importante, è un discorso di impotenza economica. Probabilmente, l’Inter targata Suning del periodo prima del Covid avrebbe fatto l’investimento su Álvarez ad occhi chiusi, quantomeno avrebbe dato del filo da torcere al City. Zhang si è ritrovato i rubinetti chiusi per via di decisioni intraprese dal governo cinese come contromisura per la pandemia, tra le quali tagliare gli investimenti nel settore calcistico, ma questo concetto il tifoso medio preferisce non ricordarlo, perché il gusto per la polemica è una poltrona decisamente troppo invitante sulla quale adagiarsi e crogiolarsi. E così diventano tutti allenatori, direttori sportivi e guru della finanza a titolo assolutamente non richiesto, ma purtroppo gratuito. Per quanto riguarda Paquetá, il Milan non si tirò affatto indietro dal compiere un investimento importante. Anzi, andò al tavolo delle pretendenti per giocare forte e sbaragliare la concorrenza. Allo stesso tempo, a distanza di anni, sono fermamente convinto che la mancata esplosione del fantasista brasiliano sia stata il frutto di un equivoco tattico. In più, senza pronunciarmi in stereotipati termini di paragone tra diversi campionati, resto della mia idea di calcio. Esistono delle dimensioni, dei contesti cuciti su misura come un abito, dove un calciatore può sentirsi più libero e responsabilizzato, più al centro del gioco e parte di un meccanismo più complesso. Questa è la sottile linea di confine tra il concetto di potenziale inespresso e un flop appurato. Paquetá complessivamente non è un flop: lo ha dimostrato ampiamente al Lione e, in parte, lo sta dimostrando anche al West Ham. Al Milan, molto semplicemente, aveva poco a fare con l’idea di calcio proposta dai rossoneri al tempo. E nessuna delle due parti ha colpe per questo, né tantomeno rancori da serbare”

Daniele Pagani: “Endrick e Kendry Páez rientrano in una categoria di talenti precocissimi e strabilianti”

Endrick e Kendry Páez sono solo due degli ultimi giovanissimi acquistati rispettivamente da Real Madrid e Chelsea per delle cifre piuttosto importanti. Possono far bene in Europa secondo lei? Ci parli delle loro caratteristiche…

“Quando si parla di questi enfant prodige, tutti accomunati da un’immediata manifestazione di talento purissimo, preferisco sempre suggerire pazienza e razionalità nell’espressione di un giudizio concreto e costruttivo. Endrick e Kendry Páez rientrano in una categoria di talenti precocissimi e strabilianti, come del resto Gianluca Prestianni del Vélez, del quale si parla ormai già da anni, Claudio Echeverri del River Plate (2006) e Vitor Roque (2005), che in nemmeno due stagioni con l’Athletico Paranaense ha fatto le fiamme e non a caso è stato recentemente acquistato dal Barcellona. Nessuno può negare che ci siano delle doti straordinarie in questi profili, le loro qualità si possono percepire anche solo nel primo tocco di palla, nella maniera in cui la trattano, nell’incoscienza giovanile che gli permette di osare la giocata e compierla con successo in un’impercettibile frazione di secondo: sono un insieme di note che rientrano nello spartito dei cosiddetti predestinati, o fuoriclasse, che dir si voglia. Poi, tuttavia, bisogna ricordarsi che una carriera si dipana su vent’anni, anche di più in alcuni casi. In vent’anni si possono trovare degli allenatori in grado di portarti al massimo splendore e allenatori incapaci di comprendere a fondo le tue caratteristiche per ritagliarti una dimensione adatta all’espressione costante del talento. In vent’anni si possono compiere scelte giuste e scelte sbagliate per il proseguimento della tua carriera, ci sono gli infortuni. Guardiamo De Bruyne al Chelsea. Tanti lo definirono già allora un talento bruciato. E con lui anche Salah, per dire. Riguardiamo De Bruyne, prima al Wolfsburg e ora al Manchester City: il migliore al mondo nel suo ruolo. Guardiamo Martin Ødegaard. Talento precocissimo come gli altri menzionati. Qualcuno lo aveva già stroncato dopo le tre parentesi in prestito che gli fece fare il Real Madrid. Oggi è il capitano di un Arsenal che ha provato a lottare contro il City per il titolo e un calciatore incredibilmente maturo e consapevole, quindi bellissimo da vedere in campo. Guardiamo un caso di studio ancora più attuale, come Arda Güler. Lanciatissimo sulla rampa di una carriera brillantissima: lo stroncheranno come Ødegaard, qualora dovesse finire in prestito in altre realtà minori? Tra vent’anni i tifosi del Real Madrid lo ricorderanno con molta più enfasi di Özil, che ha praticamente smesso di giocare a trent’anni, dopo l’addio all’Arsenal? Giocherà per diversi anni a livelli altissimi e poi finirà per perdersi come James Rodríguez? Non ci è dato saperlo. Io per primo mi auguro che questi ragazzi possano stregarci e stupirci per due decenni, ma ci vuole misura, in particolar modo da chi scrive e fa giornalismo. Insomma, da chiunque sia depositario dell’informazione. Nel giornalismo sportivo il sensazionalismo è controproducente. Alimenta spesso falsi miti. E si declina nell’anticamera di una caccia alle streghe ogni qualvolta che uno di questi talenti non riesce a mantenere le aspettative generate intorno al suo conto. È necessario tornare alle basi, è necessario studiare, osservare, formare una propria opinione e una propria capacità analitica. È meglio esporsi soggettivamente per un talento e riderci su tra vent’anni per aver preso un abbaglio, piuttosto che esaltarne le qualità pretendendo di affermare, a qualsiasi costo, una verità assoluta. Vale anche per Enciso e Caicedo”

Daniele Pagani: “La MLS si è evoluta in un contesto estremamente dinamico e versatile negli ultimi cinque anni”

Nel campionato statunitense, la MLS, molti club decidono di puntare su giovanissimi argentini e brasiliani. Uno di questi è sicuramente Thiago Almada, dell’Atlanta United, accostato a svariate squadre e con il Napoli che figura nella lista delle pretendenti. Che cosa può dirci del fantasista argentino?

“La MLS si è evoluta in un contesto estremamente dinamico e versatile negli ultimi cinque anni, ma allo stato attuale sono ancora tanti coloro che non hanno assorbito la percezione di questo sviluppo. Non è più solamente un campionato nel quale i fuoriclasse in età avanzata vanno a svernare per accaparrarsi un ultimo contratto dorato. È cambiato l’approccio allo scouting: ora il Sudamerica si è convertito nella fonte più redditizia dalla quale attingere. Non a caso l’Argentina, il Brasile e la Colombia rappresentano tre delle cinque nazionalità maggiormente presenti nell’intera lega. Ovviamente alle spalle del Canada. Sorprendentemente davanti al Messico. Se ci estendiamo a una top–10, invece, in questa lista figurano anche il Venezuela e l’Uruguay. Non è una tendenza scontata, se ci riflettiamo, perché sono dinamiche che vanno oltre il gioco del calcio e afferiscono al sociale, all’antropologico. Attraverso una proposta di contratto per giocare a pallone stai anche offrendo a un ragazzo di diciotto, diciannove o vent’anni una prospettiva di vita completamente differente dai suoi standard. Gli stai offrendo l’opportunità di vivere al centro del mondo in metropoli del calibro di New York, Chicago, Miami, Los Angeles, Seattle, Orlando e Austin, solo per menzionarne alcune. Per i giovani talenti sudamericani la MLS è diventata ad un solo tempo un trampolino di lancio per il calcio europeo e un enorme benefit in termini di tenore di vita. Se sei forte, da questa parte dell’oceano ci arrivi comunque: guardiamo l’esempio di Valentín Castellanos. Che tra l’altro, è un mio pupillo. È entrato nel giro del City Football Group, dal New York City è passato al Girona. Al Girona ha fatto decisamente bene. È finito alla Lazio, in uno dei cinque migliori campionati europei. O Brenner, passato da Cincinnati all’Udinese. Senza soffermarsi esclusivamente sul discorso di qualità del campionato oppure di reale interesse del pubblico statunitense verso il calcio, il mio invito è quello di valutare anche le prospettive di cui ho parlato, nel trarre un giudizio”

Daniele Pagani: “Plata non è mai stato un calciatore in grado di convincermi fino in fondo”

Gonzalo Plata, esterno ecuadoriano ormai ex Real Valladolid, nonché mio personale pupillo da tempo, è da poco approdato all’Al–Sadd, in Qatar. Si tratta di uno spreco? Avrebbe potuto fare la differenza in Europa, prima o poi?

“Nonostante molti spunti tecnici davvero interessanti, propiziati dallo scatto bruciante che lo ha sempre contraddistinto, non è mai stato un calciatore in grado di convincermi fino in fondo. Nel Valladolid non ha fatto male, ma non si può nemmeno affermare che abbia fatto proprio benissimo. È un giocatore di fiammate: ha dimostrato di avere di avere molti limiti tattici e il suo percorso di crescita ne ha risentito dopo l’impatto con il calcio europeo. Succede anche questo”

Daniele Pagani: “Uno dei più grandi difetti del gioco di Lozano è la frequente mancanza di lucidità in situazioni potenzialmente decisive”

L’esterno messicano del Napoli, Hirving Lozano, non è mai riuscito a esplodere definitivamente nel nostro campionato. Secondo lei, quali fattori lo hanno frenato?

“Per rispondere mi approprierò delle parole che Gianni Montieri ha utilizzato nel suo libro Il Napoli della terza stagione, che a mio avviso descrivono con una precisione chirurgica il percorso vissuto da Lozano con la maglia del Napoli: «L’esperienza di Lozano al Napoli è controversa. Sovente il giocatore è passato da forte a scarso, poi a molto forte, poi a così e così, poi a brocco. A volte questi cambi di status sono avvenuti nel corso di una stessa gara, quasi che l’attaccante messicano fosse impossibile da fotografare, da inquadrare in un solo giudizio, così come è molto difficile da marcare nelle sue giornate migliori». Come Gianni, al quale invio un grande attestato di stima, penso che uno dei più grandi difetti del gioco di Lozano sia la frequente mancanza di lucidità in situazioni potenzialmente decisive. Al contempo, sul piatto della bilancia, ci voglio mettere anche gli infortuni. Lozano ne ha avuti almeno quattro importanti da quando è al Napoli, andando puramente a memoria. È stato difficile per lui trovare continuità, ma in ogni caso penso sia riuscito a ritagliarsi un ruolo importante, seppur da comprimario, nel tricolore vinto dagli azzurri.

Daniele Pagani: “Gabigol spero di rivederlo presto in Europa, si merita una seconda chance”

Gabigol e Josef Martínez hanno entrambi floppato durante le rispettive esperienze con l’Inter e il Torino. Una volta approdati rispettivamente in Brasile e in MLS, hanno ricominciato subito a far vedere di avere un certo feeling con il gol. Cosa è andato storto in Italia?

“In questo caso potrebbe valere lo stesso discorso di Gonzalo Plata: ci sono giocatori che non riescono a superare una certa barriera, per differenti limiti: lo stesso Gabigol, giusto un paio di anni fa, dichiarò di aver capito solo a posteriori che per giocare all’Inter avrebbe avuto bisogno di metterci molto di più del semplice talento. Nonostante l’Inter fosse una polveriera in quegli anni, in quella stagione in particolar modo. Questo bisogna sottolinearlo. Le pressioni erano tante, troppe forse. In Brasile ha ritrovato una dimensione e uno straordinario livello di fiducia, così come Josef Martínez in MLS. Comunque, Gabigol spero di rivederlo presto in Europa. Si merita una seconda chance, dopo tutto quello che ha realizzato con il Flamengo in termini di trofei vinti e di record individuali sbriciolati”

Daniele Pagani: “Personaggi come Adani sono quelli che io definisco falsi profeti”

L’Uruguay, oltre a sfornare numerosi potenziali fuoriclasse come Valverde e Darwin Núñez ora e Cavani e Luis Suárez nel recente passato, è da molti considerato il paese in cui si vive il calcio con maggiore emozionalità. Un pensiero supportato soprattutto dal telecronista e opinionista Daniele Adani. Lei è d’accordo?

Francamente, no. In Uruguay come in Argentina, Brasile e gli altri paesi sudamericani non c’è un modo migliore o meno di vivere il calcio. Personaggi come Adani sono quelli che io definisco falsi profeti. Non contribuiscono in alcuna maniera a produrre reale informazione sul calcio sudamericano, lo riducono a storielle monotematiche di povertà e rivalsa che sembrano costruite in serie sulla catena di montaggio. Il tutto, per facilitare una collettiva masturbazione intellettuale, se intellettuale possiamo definirla, che si nutre di poca logica e tanto sensazionalismo stucchevole. Personaggi come lui non portano niente. E non aggiungono alcun valore. Tengono il calcio sudamericano racchiuso nella sua bolla di superficialità. Ma come biasimarli, d’altronde? Finché qualcuno gli da retta, andranno avanti così, a pubblicare video sui propri account social in cui baciano la bandiera dell’Argentina e guardano il cielo, per suggerire una scadente e ritrita correlazione tra una divinità e il calcio. In fin dei conti, per creare falsi profeti ci vuole anche un pubblico che contribuisca attivamente e quotidianamente a crearli. A elevarli. Forse è anche per questo che ci meritiamo l’opinionismo scadente di gente come Adani: perché dall’altra parte c’è un pubblico che si accontenta di questa mediocrità, senza riuscire a guardare oltre i confini dei social e del trend, o del titolone ad hoc, per scovare dei professionisti in grado di fare una tipologia d’informazione costruttiva, soddisfacente ed etica. Basterebbe spendere un quarto d’ora al giorno a leggersi gli articoli di alcune riviste web come «l’Ultimo Uomo», anziché guardare per tre quarti d’ora la «Bobo TV». Molti potrebbero perfino riuscire a crearsi una propria opinione. Ve la butto lì: perché la storia di rivalsa di un bambino emerso da una favela brasiliana dovrebbe avere maggiore rilevanza evocativa e celebrativa di un suo coetaneo africano cresciuto da immigrato nelle banlieue francesi, o da un altro scappato via dai Balcani insieme alla famiglia per fuggire dalla guerra? Provate a rifletterci su. E riflettete bene anche su che tipo di informazione volete. Se d’intrattenimento, o quella vera”

a cura di Emanuele Cantisani

 

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