Il dibattito sul possesso palla continua, con una certa sistematicità, ad infiammare l’opinione calcistica italiana, ma è davvero necessario?
È davvero necessario un dibattito così sterile sul possesso palla?
I recenti dibattiti hanno riportato alla ribalta una controversia stucchevole, ed alquanto inusuale. Esperti ed opinionisti, con convinzione più o meno labile, hanno infatti ripreso a discutere dell’efficacia che il dato sul possesso palla può vantare. In un calcio che sempre più si affida al controllo del campo – e della sfera – il campionato nostrano si caratterizza per essere l’unico in cui si avverte il bisogno di mettervi in dubbio la vantaggiosità.
L’arcaico – e per qualcuno prosaico – Caressa ha fatto, infatti, pieno sfoggio di un golpe di restaurazione calcistica. Ben supportato da una folta schiera di ciechi conservatori, il cronista si è dato all’ideologica battaglia in offesa dell’inutile dato di possesso palla. Con un certo risentimento si è teso a sottolinearne la vuota esteriorità, asserendo a strambe (quanto folli) teorie a supporto dei propri ‘ideali’.
È davvero necessario un dibattito così sterile sul possesso palla?
Si prefigura, dunque, la giusta occasione per riaprire un dibattito di cui soltanto in Italia se ne avverte la necessità. A tal fine è utile ribadire le elementari evidenze che una tale statistica fornisce, con buona pace della filosofeggiante argomentazione del pallone da un calciatore all’altro…
In primis – e più banalmente – il possesso della palla determina da sé il fatto che essa non sia a disposizione dell’avversario. Senza la sfera, è difficile che la contendente possa creare occasioni, o andare in gol. Tanto innovativo quanto efficiente, il possesso è dunque un primario meccanismo di difesa, che impedisce a priori l’iniziativa avversaria.
Correlato a ciò, una prolungata gestione del pallone offre maggiori opportunità di aggredire la difesa avversaria. Maggiore è il tempo di possesso, maggiori saranno le occasioni che si potranno creare. Sarà scontato, ma la condizione calcistica del nostro paese ne esige (ancora) un ribadimento. Ne consegue che le squadre con la più alta percentuale di possesso palla si fregiano di un controllo tanto evidente quanto schiacciante, della partita e degli avversari. È l’immediata espressione del dominio di una squadra, con tutte le agevolazioni che essa consente, quand’anche si volesse ignorarle. Non può, in tal senso, essere un caso che tutte le squadre con i più alti valori di gestione palla, sono tra le prime posizioni dei rispettivi campionati. Il dominio è strumento primario per il risultato, e l’identikit principale delle grandi squadre.
Vi è, inoltre, il vantaggio tattico che ne deriva, non di poco conto. Correre con la palla è, difatti, di gran lunga meglio che corrervi dietro. Contrastare una squadra che detiene il pallone è un dispendio notevole di energie, che nel corso dei novanta minuti si rivela essere dannoso per lucidità e ottimizzazione della prestazione.
Tuttavia, più importante di quanto sinora affermato è il valore intrinseco che la gestione palla denota. È la possibiltà che essa concede di intraprendere strade nuove e certamente efficaci nella costruzione di una identità. Possedere palla, con autorevolezza e qualità, permette ad un gruppo di potersi riconoscere in uno stile, e di essere riconosciuti. È la via più immediata verso la confidenza con la sfera, vera protagonista di questo sport. Immaginarsi se nel volley non si avesse una idea ben precisa del come impattare la palla. Il calcio, in tal senso, necessita di intimità con il suo principale mezzo. Perché i tempi avanzano, e gli assetti, da sé, non possono più bastare. Il calcio si evolve, e adeguarsi senza cieca resistenza, non sarebbe un male.
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Gennaro Albolino